Vale sempre la pena rincorrere i propri sogni

Non serve avere un lavoro che ci piaccia per essere felici, ma aiuta. Dobbiamo iniziare da qualche parte, con quello che capita sul cammino, perché noi non lo sappiamo, ma la vita sì che sa dove stiamo andando e ci dà tutto quello di cui abbiamo bisogno.

Doversi adattare ad un lavoro a volte è un bene, così come scegliere un luogo per il lavoro o le attività che ci offre. E, con il tempo, mentre lo svolgiamo, finiamo sempre per trovare la nostra strada, quale che sia.

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Iniziamo in un modo e finiamo sempre in un altro e inaspettato. Questo accade col lavoro, se continuiamo a coltivare un rapporto sano con la nostra attività e con noi stessi, ma anche con le persone e coi sogni, se non smettiamo mai di crederci e continuiamo a dedicarci loro nel nostro tempo libero con passione e dedizione, senza abbandonare mai l’idea che un giorno finalmente pubblicheremo quel libro, venderemo un quadro, incideremo un disco, saremo su quel palcoscenico, avremo il lavoro dei nostri sogni.

Ora penserete che mi contraddico da sola, perché ho sempre rincorso i miei sogni e fatto di tutto per essere felice qui ed ora. Ed è giustissimo, ma sono passata anche per momenti non felici e li ho sempre affrontati fino in fondo, chiedendomi ogni giorno se stavo facendo quello che volevo e dandomi sempre da fare comunque andassero le cose. Questa è la chiave. La vita ci dà qualcosa se noi diamo per primi e dimostriamo di meritarlo davvero. E a fare qualcosa che ci piace, se lottiamo, prima o poi ci arriviamo.

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Vale sempre la pena rincorrere i propri sogni. Sono quello che ci mantiene vivi, che ci dà la forza per non impazzire in questa realtà strana e incomprensibile, sono il motore del nostro cuore, che a sua volta alimenta il nostro corpo e la nostra mente. Ma a volte ci sbagliamo e, raggiunto il sogno, non si rivela quello che credevamo che sarebbe stato o ci rendiamo conto che non è quello che vogliamo una volta che l’abbiamo ottenuto. Ed è allora che impariamo di più e che diamo veramente valore a quello che avevamo prima e che non abbiamo saputo riconoscere. Ma vale comunque la pena provare, altrimenti ci resterà sempre il dubbio. E il dubbio è la cosa peggiore.

Alcuni sogni si realizzano e ci danno la vita che volevamo, ma comunque la serenità dovremo guadagnarcela noi nella vita di tutti i giorni. Perché, dentro a quel sogno, c’è una vita di tutti i giorni, una tanto temuta routine che nessuno vorrebbe dover affrontare, ma che i saggi sanno apprezzare. Il sogno è solo una tappa nel cammino. Altri sogni non si realizzano e, secondo me, è meglio così.

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Uno dei miei altri [cento] sogni è quello di pubblicare e vendere le storie che scrivo. Le scriverei comunque se sapessi per certo che non pubblicherò mai? Sì. E lo farei anche con più divertimento. Non avrei la pressione del “però magari se ci tolgo quel personaggio al pubblico piacerà di più”, non mi farei problemi a scrivere quello che voglio senza mai pensare al mio pubblico target. Trovo che sia tristissimo scrivere (o fare qualunque cosa che ci piaccia) pensando solo al tornaconto che ne avremo. Io scrivo perché è inevitabile. Le parole mi chiedono di essere scritte, mi tormentano con un senso di malessere che non accenna ad attenuarsi fino a che non le imprimo indelebili sulla carta. Le storie, i personaggi nascono da me senza che io glielo abbia chiesto o abbia dovuto cercarli in maniera cosciente. Ho imparato a scrivere e ho voluto un diario. Avevo sei o sette anni. E poi non ho mai smesso di scrivere. Tutto qui. È il mio modo di congiungermi al mondo. Tutti ne abbiamo uno.

Ma che importa se rimarrò uno di quegli scrittori nell’ombra, che si accontentano di scrivere le proprie storie per un pubblico ristretto di amici e conoscenti e di gestire un blog, senza aspirare alla fama mondiale. In realtà, credo che scrivere un best seller implichi non poter scrivere liberamente, ma doversi adattare al pubblico. E ti toglie il piacere della scrittura. E allora a che pro? Ancora una volta la risposta è: per non dover lavorare tutto il giorno, per non dover fare un lavoro che non mi piace.

E se lo scopo della vita fosse, invece, imparare ad amare le cose che non ci piacciono?

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